Antonio Secci: l’uomo e l’artista di Pedro Fiori

Antonio Secci: l’uomo e l’artista di Pedro Fiori

Un vero artista – qui il caso di Antonio Secci – ha sempre dietro di sé una sanguigna storia esistenziale. Da questa ferita nascono come battiti le sue rivelazioni estetiche.

Sardo fino al midollo, emotivo fino al dolore (come ogni sardo), artista con una sua problematica astratta d’avanguardia. Ecco, secondo me, il “ritratto viscerale di Secci”.

Nasce a Dorgali (Nuoro) nel 1944. Si forma artisticamente in Sardegna. Nel 1966, ventiduenne si trasferisce a Milano. Nella metropoli meneghina – “luogo di lavoro” del futurista Marinetti e dello spazialista Fontana – diventerà qualcuno. Intuirà il suo segno identificante.

Una voyance dell’astratto: Secci vedeva nella Natura (motivo dominante della sua infanzia, come scrisse in un’autopresentazione del 1972) le sue “forme usuali” trasformarsi in “forme astratte”, cioè in una sorta di “magia astratta”. D’altra parte, sappiamo appunto che l’Arte (la Poesia, la Musica) è soprattutto una “verità-dei-sentimenti”, una “risposta-simbolica-in-divenire” di fronte al mistero dell’Universo e di Dio, agli enigmi del sesso e dell’amore, della vita e della morte. Cercando di interpretare queste ineluttabilità, Secci ha dato un senso alla sua vita, ha trovato un suo posto nell’infinito. La sua arte ne è una originale risposta.

Eravamo all’inizio degli anni Settanta. Ricordo quello studio di via Rossini: dal nostro caro e compianto Roberto Crippa (un “Icaro con le ali squartate”) ho conosciuto infatti il giovane e talentoso pittore Secci: il futuro voyant dei suoi Squarci. Crippa è stato per lui un maestro e un amico. Lo ha sempre consigliato e aiutato. Lo ha considerato il suo principale collaboratore. Gli ha fatto conoscere Fontana e altri personaggi del mondo dell’arte e della cultura. Qui, nella capitale lombarda, Secci è cresciuto nella sua dimensione estetica. La sua pittura ha ricevuto i primi riconoscimenti della critica (Verdet, Tapié, De Grada, Sanesi, Passoni, Fiori e altri). Ha destato l’interesse dei collezionisti. Era il tempo delle sue diverse mostre personali in Italia e all’estero.

“Segno-materia-spazio” costituiscono dall’inizio – nel nucleo problematizzante del processo stilistico secciano – una plurale struttura identificante, un work-in-progress in espansione. Direi di più: dai primi Fulmini (dal 1969 al 1974, ricordiamo qui Vibrazione astrale, Nascita della materia, Tensione strutturale, Vibrazione della materia, Spazio cosmo espansivo) agli attuali e noti Squarci (il primo è del 1974) si verifica “l’evento-simbolo” dell’opera (tecnica mista). Vediamo dunque che le tensioni segniche dei Fulmini agiscono sulla matericità (monocromatici azzurri, gialli, blu, rossi, neri e bianchi) in funzione della struttura: in sintesi, si proiettano, scavano attraverso una geometriale incisività “a zig-zag”, una linearità strutturante, generando così il nucleo assiologico dell’immagine.

 

Come ho detto in precedenza, la prima epifania degli Squarci (tecnica mista) è del 1974. Da allora fino a oggi, al 2000 (più di 25 anni di attività creatrice in questa problematica) l’artista ha continuato la sua ricerca strutturale e semantica. Nel 1979 – per motivi familiari – Secci aveva lasciato Milano. Era tornato nella sua sangrante tierra: la Sardegna. Vivrà e lavorerà a Cala Gonone, in provincia di Nuoro, di nuovo circondato da quella magica natura della sua infanzia. Assieme al suo dolore, alla sua solitudine, ai suoi sogni. Ma non perde i minimi contatti artistici.

Cosa significano gli Squarci? Simbolizzano “eventi-immagini” che l’artista crea come se fosse il magicien di un “rituale del mistero”. La pelle (il tessuto) dell’“oggetto estetico” (il dipinto) viene lacerata in uno o più punti (linee rette, curve, diagonali, simmetrie, asimmetrie). La ferita-segno rimane sempre aperta sulla trama pigmentale.

La sua opera diventa una profonda, silenziosa poesia nutrita da misteriosi battiti.

La consacratoria esposizione che il MAN ha dedicato ad Antonio Secci tra dicembre 1999 e gennaio 2000, è stata, nel contempo, un omaggio e un riconoscimento al maestro sardo ma anche all’uomo e al poeta che convivono in lui.